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il racconto della domenica

C'è chi grida al lupo

Incontri  nella nebbia

di Riccardo Zinelli

30 Gennaio 2022, 13:21

La campagna era come congelata nelle tinte scure della notte. Niente osava muoversi in quel buio, più denso persino del Lambrusco, quasi avesse paura di mostrarsi a quel paio d’occhi che perlustrava incessantemente la terra attorno al casolare.

Prima o poi passerà, rifletté Cadebò, di vedetta con lo schioppo a portata di mano.
Stava all’erta come un cane da caccia, sicuro che il suo udito fino potesse aiutarlo ad individuare la bestia che s’aggirava indisturbata nei campi attorno alla sua proprietà. Certo, giorni prima il paese non gli aveva creduto quand’aveva giurato d’aver sentito il ringhio cupo dell’animale, arrotato dal suo palato ferino, mentre gioiva per aver trovato una delle sue manze al pascolo da sbranare. Ma Cadebò era sicuro d’aver perso una delle sue giovenche per colpa di quel lupo, che non aveva visto ma che aveva udito distintamente.

«Pensate che sia diventato matto?» aveva tuonato al bar quando quelli della sua compagnia erano quasi scoppiati a ridere dopo il suo racconto. «Son sicuro di ciò che ho sentito. La manza me l’hanno mangiata. E prima o poi troverò quel lupo, altroché…» 
Tuttavia non c’era stato niente da fare. Il bar lo aveva rimandato a casa senza dargli corda. Perché per loro la manza, i cui resti non erano mai saltati fuori, s’era semplicemente persa, e presto o tardi sarebbe saltata fuori.

Soltanto che, mentre mezzo paese mi rideva alle spalle, al mio vicino son spariti sei polli, ragionò l’allevatore.

Davanti alla razzia la compagnia del bar non aveva più potuto tirarsi indietro, ed aveva iniziato le ricerche della bestia coi fuoristrada. Ma, nonostante il rastrellamento, il lupo sfuggiva sempre ai paesani. In compenso, da quando le ricerche erano iniziate, abbondavano le segnalazioni: una decina di persone, a cui erano spariti alcuni animali da cortile, giurava d’aver visto la bestia descritta da Cadebò.

Per quello, ammirato dai vicini, Cadebò la notte vegliava sulla campagna con lo schioppo a portata di mano. Ma le ore di guardia scorrevano lente e soporifere. E l’uomo temeva d’addormentarsi ad ogni minuto trascorso in quella forzata inoperosità, perciò ad un certo punto decise di prendere un po’ d’aria. 
A fatica si tirò su dalla sedia e si buttò sulle spalle il suo vecchio tabarro, che gli sfiorava la punta dei piedi. Con quello indosso attraversò l’aia e si mise a scrutare la notte. L’oscurità gli pareva un’unica campitura di buio, monotona quanto la cantilena di preghiere del rosario, finché un’ombra acquistò corpo e si mosse.

Cadebò, d’istinto, cercò lo schioppo per sparare contro quel grumo scuro, ma le sue dita strinsero soltanto l’aria come per uno spasmo. Allora corse dentro casa per recuperare l’arma, rimasta poggiata sullo schienale della sedia, e quando l’ebbe in mano tornò sull’aia per spianare l’occhio scuro della canna contro il buio. Ma la campagna era diventata nuovamente uno sfondo nero e silenzioso.

Al mattino, furibondo, si precipitò al bar.
«L’ho visto, l’ho visto, perdio!» assicurò al titolare, che era impegnato a fare un cappuccino. Poi si rivolse alla sua compagnia: «Perché non avevate il telefono collegato, stanotte? Avrei potuto avvisarvi, così sareste venuti!»
Quelli, delusi dagli scarsi successi delle ricerche, si strinsero nelle spalle. Indignato per esser stato trattato con sufficienza, Cadebò decise di organizzarsi per conto suo. Dimenticando la compagnia del bar radunò cinque vicini fidati e si mise a pattugliare la campagna.

«È lì», diceva per spronarli, «da questa parte. Dobbiamo prenderlo e fargli la festa.»
Cadebò, con piglio da condottiero, sparpagliò la spedizione per i campi. Ma, quando fu sera, dovette avviarsi verso casa ancora una volta a mani vuote. Il lupo era impossibile da trovare.
Rientrato, interrogò sua moglie: «Allora? Hai fatto ciò che ti ho detto?»
«Non preoccuparti», lo tranquillizzò lei. «Ho alleggerito Aimi di due vitelli. Adesso sono in quell’altra stalla, quella fuori mano, assieme ai polli dei Barani, ai conigli dei Rossi e a tutte le altre bestie sparite dal vicinato.»

«Bene!» esultò Cadebò. «Così un’altra volta imparano prima di deridermi. Con questa nuova sparizione, al paese dovrebbero essersi definitamente convinti che qua attorno viva un terribile carnivoro. E così la gente lo incolperà per gli animali scomparsi: inclusa quella della manza che, accidenti, l’ho persa un mese fa. Trovare un colpevole permetterà loro di andare avanti, perché evita alla gente di pensare. E pensare, oggi, è una fatica che in pochi vogliono fare»

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