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EDITORIALE

Draghi al Colle, unica strada per arginare i partiti

Draghi al colle unica strada per arginare i partiti

di Domenico Cacopardo

10 Dicembre 2021, 13:49

Parliamoci chiaro: c’è un elemento di fondo sul quale non si può, oggi più che mai, barare. Esso concerne l’interesse nazionale in questa delicata fase di passaggio e si sostanzia nella permanenza di Mario Draghi alla testa del governo o, comunque, nella posizione cruciale per la Nazione costituita dalla presidenza della Repubblica.

Eravamo giunti sulla soglia di uno smacco politico nazionale, quando, nel febbraio del 2021, il governo, con modalità imbarazzanti, aveva definito una sua ipotesi di utilizzazione del Pnrr -appena approvato dall’Unione europea -, tutto o quasi tutto rivolto alla distribuzione a pioggia di risorse senza alcun disegno strategico sul presente e sul futuro della Nazione.

L’iniziativa di una personalità discussa come Matteo Renzi e del suo partito aprì la crisi che sarà indicata nei libri di storia come la salutare svolta, quella attesa da tanti italiani, che ha recuperato all’Italia il prestigio perduto dandole, altresì, un governo capace di «maneggiare» la situazione. Sono stati posti in primo piano gli interessi collettivi sulle grandi questioni nazionali: l’ambiente, le infrastrutture, la ripresa delle attività produttive, il recupero di competitività.

Mario Draghi, voluto a Palazzo Chigi da un Sergio Mattarella dalla felice visione delle urgenze nazionali, ha costituito un governo misto di rappresentanti di partiti e di tecnici di sua -e, quindi, nostra- fiducia che ha lavorato come potevamo immaginare: sobrietà di comunicazione e di atteggiamenti e decisioni tempestive ed efficaci.

L’idillio, peraltro, è in fase terminale, giacché con il semestre bianco e, in particolare, con l’imminenza della votazione presidenziale, i partiti hanno tentato, in alcuni casi riuscendoci, di affermare una loro primazia nelle decisioni governative, dopo tante sconfitte subite sul terreno delicato e poco politico della difesa degli italiani dalla pandemia.

Se riflettiamo sul futuro prossimo, possiamo individuare diversi scenari. 

Iniziamo con l’elezione al Quirinale di una personalità politica diversa da Mario Draghi. Secondo prassi costituzionale, le mosse successive al risultato saranno la proclamazione del presidente, il giuramento, il messaggio e l’insediamento. Un minuto dopo, il presidente del consiglio presenterà le proprie dimissioni. Il presidente della Repubblica si riserverà di accettarle o di respingerle, disponendo che il premier rimanga in carica per la normale amministrazione e inizierà le consultazioni.

La palla tornerà, quindi, nelle mani dei partiti che vorranno riprendersi la quota di potere perduta con la costituzione del governo Draghi. Queste le ipotesi: mantenere in vita il governo con la missione di proseguire nell’azione di riforma e di attuazione del PNRR e condurre il Paese a elezioni a scadenza di legislatura o a elezioni anticipate (primavera o autunno); operare un rimpasto, rimanendo ferma la precedente missione; infine, rinunciare a Draghi per costituire un nuovo governo elettorale o di fine legislatura. 

In ogni caso, il governo e il suo premier sarebbero prigionieri dei partiti in corsa per l’imminente, successiva competizione elettorale: si tratterebbe di un depotenziamento del quadro politico che comprometterebbe l’azione svolta e ne impedirebbe la prosecuzione.

Da queste considerazioni discende che la prima scelta di cui possiamo disporre è l’elezione di Draghi al Quirinale. Egli garantirebbe al Paese un settennato di altissima qualità e rilievo, internazionale e nazionale. Sarebbe, secondo Costituzione, il garante della democrazia italiana e dei suoi impegni europei: insomma, una guida ferma, sobria e capace di interpretare gli interessi della Nazione senza subire gli interessi -spesso devianti- dei partiti.

Questo è tutto. Almeno per ora.

www.cacopardo.it

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