×
×
☰ MENU

editoriale

Ma dove ci sta portando realmente Donald Trump?

Trump manderà la Guardia nazionale a Chicago contro la criminalità

Donald Trump

di Pino Agnetti

28 Dicembre 2025, 10:37

E pensare che Trump, la Groenlandia, ce l’aveva già in tasca. Per la semplice ragione che l’immensa isola (la più grande al mondo) fa parte del Regno di Danimarca, una nazione fondatrice della Nato. E quindi, che senso ha continuare a minacciare di prendersela con le buone o con le cattive quando basterebbe far leva sugli accordi di cooperazione militare (e non solo) fra Alleati? Nonostante ciò, prima di Natale Donald ha affidato a uno dei suoi fedelissimi, il governatore della Louisiana Jeff Landry, l’incarico di risolvere l’intera questione. In che modo, lo ha subito chiarito il neo «inviato speciale» («Per me sarà un onore rendere la Groenlandia parte degli Stati Uniti»), scatenando così le reazioni imbufalite sia delle autorità della regione artica (che gode di una forte autonomia), sia del governo danese che ha convocato l’ambasciatore Usa a Copenaghen per dirgli a muso duro che «non possiamo accettare che qualcuno minacci la nostra sovranità». Ricordato che la «Terra Verde» come la battezzarono i vichinghi è piena zeppa di materie prime (per altro sfruttate finora solo in minima parte) e che il progressivo scioglimento dei ghiacci artici l’ha resa un «boccone» strategico ancora più prelibato in quanto da lì è possibile dominare tutte le rotte fra Asia, America ed Europa, sarebbe il caso di interrogarsi su cosa guidi realmente le mosse dell’uomo più potente della Terra.

Talmente potente da ritenere ormai inutile perfino la più grande e poderosa Alleanza militare della Storia - la Nato, appunto - egemonizzata fin dalla sua fondazione proprio dagli Usa. Per provare a rispondere al quesito, mi avvarrò non dell’armamentario dei tanti anti-Trump per partito preso (alla Travaglio o alla professor Orsini, per intendersi). Bensì, del profilo del 47° (già 45°) presidente a stelle e strisce tracciato dal capo dello staff della Casa Bianca, Susie Wiles. Ecco alcune delle frasi (tutte registrate) usate dalla signora Wiles per descrivere l’uomo che, mettendola lì, ha fatto di lei una specie di «Commander in chief» ombra (un po’ come è stato Gianni Letta per Silvio Berlusconi ai tempi dei governi del Cavaliere, oppure è oggi l’altrettanto influente Giovanbattista Fazzolari per Giorgia Meloni).

Il presidente Donald Trump? «Una personalità da alcolizzato ad alto funzionamento. Agisce partendo dall’idea che non esista nulla che non possa fare. Niente, zero, niente!». Le ripetute iniziative giudiziarie intentate dallo stesso Trump contro alcuni dei suoi «nemici» (fra i quali l’ex direttore dell’FBI James Comey e la procuratrice generale di New York, Letitia James)? Tutti atti in cui «è evidente la logica della ritorsione». Le accuse di Trump a Bill Clinton di avere visitato l’isola privata del finanziere pedofilo Jeffrey Epstein? «Il presidente si sbagliava». E via picconando, anche se i ritratti forse più sanguinosi riguardano il vicepresidente Vance (»Un complottista di lungo corso divenuto sostenitore di Trump solo per calcolo politico»), Elon Musk («Un tipo strano e un consumatore dichiarato di ketamina») insieme ad altre figure chiave della Casa Bianca fatte a pezzi con pari quanto soave spietatezza.
Chi si fosse aspettato il licenziamento in tronco della Wiles, si è sbagliato di grosso. Al contrario, la donna - la prima a ricoprire quel ruolo - si è vista riconfermare in pieno la fiducia del presidente che, anzi, continua a chiamarla di tanto in tanto Susie Trump (povera Melania, pure questa!) pur non avendo rinunciato a comportarsi da incorreggibile discolo. Vedi l’incredibile commento a caldo sulla tragica fine del grande regista Rob Reiner e della moglie rinvenuti cadaveri nella loro villa di Los Angeles («Reiner era uno squilibrato ed è morto per la rabbia provocata dalla sua ossessione contro di me»). Per non parlare della galleria degli ex presidenti Usa alla Casa Bianca (simbolo da sempre dell’unità nazionale) rifatta a immagine e somiglianza di Trump, autore anche di gran parte delle didascalie dei ritratti dei propri predecessori (repubblicani inclusi) grondanti battutacce fra il goliardico e il vendicativo allo stato puro studiate appositamente per fare luccicare l’«Età dell’Oro dell’America» iniziata con la sua seconda e ancora più «storica» elezione. Preso dallo slancio, Trump ha appena fatto modificare anche il nome del Kennedy Center a Washington, divenuto (in barba pure all’ordine alfabetico) il «Donald J. Trump and J. F. Kennedy Center». Non potendo fare aggiungere (per ora) la propria effigie a quelle dei quattro presidenti americani scolpite sul Monte Rushmore, Donald si è però rifatto auto-intitolandosi una intera classe di navi da guerra («Le più grandi mai costruite», ha precisato nella conferenza stampa di presentazione) nerbo della «Nuova Flotta d’Oro» progettata per salvaguardare la supremazia marittima degli Stati Uniti oggi seriamente minacciata in particolare dalla Cina.

Mi sono dilungato su questi aspetti solo apparentemente marginali giacché legati alla psiche del personaggio non per prendermi beffe di Donald Trump (lui sì, come si è visto, maestro inarrivabile della materia). Ma perché «capire Trump» è diventato, ormai, un fattore di primaria importanza sia per comprendere che per orientare la convulsa e drammatica fase storica che stiamo vivendo. Prima e ovviamente molto meglio di me, devono averlo capito pure a Mosca e a Pechino. Lo testimoniano le esercitazioni «strategiche» congiunte che si succedono a ritmi sempre più intensi (le ultime risalgono al 9 dicembre scorso quando bombardieri russi e cinesi capaci di trasportare armi nucleari hanno sorvolato i cieli fra il Giappone e la Corea del Sud).
Che Trump stia riuscendo a separare Putin da Xi Jinping, si sta dunque rivelando per quello che in effetti è: nient’altro che una favola propalata solo per compiacere ai gonzi e consentire a schiere di geopolitici infallibili come il Cadorna di Caporetto di continuare a esibirsi dalla mattina alla sera. Semmai, è vero e sta accadendo l’esatto contrario: sia sul piano militare (più la guerra in Ucraina va avanti e più l’Occidente sarà costretto a concentrarsi su quello che fin dall’inizio ha costituito un formidabile diversivo per la Cina), che economico e commerciale (senza l’aiuto di Pechino, il Cremlino avrebbe già dichiarato bancarotta e se il prezzo da pagare è di condannare l’Orso russo a fare da mascotte al Dragone cinese, perché diavolo Putin dovrebbe preoccuparsene visto che il «pacchetto» comprende una polizza personale per restare dittatore a vita?).
Ciò che dunque intendo dire è che, di questa folle gara a chi è più furbo e più grosso degli altri, si sa già chi siano i vincitori. Come pure i veri e desolatamente ingenui perdenti designati. Il che, però, non basta a concludere che la soluzione risieda nel rompere con Trump e meno ancora con l’America. Giorgia Meloni è stata finora fra i pochi a comprendere che sarebbe una mossa suicida, non solo per l’Italia ma per l’intera Europa. Un altro leader che mostra di averlo capito è Zelensky, che ha concesso e sta concedendo al suo (finto) Lord protettore di tutto e di più. D’altra parte, le prossime elezioni di Mid Term, Trump le perderà. E a fargliele perdere sarà la sua stessa sempre più disillusa e scontenta (per come sta andando l’economia Usa divenuta una via Crucis per le classi medio-basse, non certo per i ricchi) base «Maga». Ragion per cui, si tratta di tenere duro - dall’Ucraina alle minacce di nuovi dazi - per un altro anno, dato che a novembre del 2026 molto, se non tutto, potrebbe cambiare. Per noi italiani ed europei in genere, sarebbe quindi un errore imperdonabile giungere all’appuntamento ancora divisi e rissosi come lo siamo adesso. Se poi a prevalere alla fine dovesse risultare «la personalità da alcolizzato ad alto funzionamento» di Trump, sarò il primo a ricredermi e pure a battergli le mani. L’ho già fatto per Gaza. Ma visto che, lì, i bambini continuano a morire di fame e freddo e ancora non si è capito chi dovrebbe mandare delle truppe per mettere definitivamente fuori gioco Hamas, c’è sempre quella domanda che non smette di frullarmi fastidiosa per la testa: dove ci sta portando, in realtà, Donald Trump?

© Riproduzione riservata

CRONACA DI PARMA

GUSTO

GOSSIP

ANIMALI