Editoriale
Il vescovo di Parma Enrico Solmi
Siamo a Natale con segni di morte. Un ossimoro dolorosissimo ci porta a piangere ancora gli incidenti sul lavoro e i femminicidi, ma anche le vittime del Covid e, pure vicino a noi, giovani stroncati a causa di incidenti stradali che rendono tragicamente diverso il Natale alle loro famiglie e lasciano un segno nella collettività o, almeno, nel cuore di chi sa leggere il dolore degli altri.
Lo scenario è però puntellato di luci di speranza, punti luminosi su una mappa forse troppo consunta.
Poter ancora dire “Natale”, “Buon Natale”, Giuseppe – Maria … perché il buon senso – su tutte le altre ragioni validissime che speravamo non dover mettere in campo – ha vinto anche sul grigiore surrettizio di proposte falsamente inclusive, mostrando che il dialogo e l’inclusione avvengono con riferimenti precisi alle proprie radici e tradizioni, dalle quali esce il desiderio leale di ascoltare, conoscere, accogliere, camminare insieme.
Di fare “strada insieme” ne abbiamo tutti bisogno. La società civile, le famiglie, la Chiesa Cattolica, sollecitata da Papa Francesco a camminare insieme, cioè a fare Sinodo. Il Natale è al convergere di strade che fanno «strada insieme».
La strada di una coppia in attesa del primo Figlio. Giuseppe e Maria sperimentano la fatica del viaggio imposto da potenti insensibili, avidi e lontani: il rifiuto della loro condizione e la solitudine nel momento del bisogno – la nascita del Bambino – , che si tramuta in un’intimità vera e nello svelarsi di una Parola detta soltanto per loro. Una pausa breve di pace raccolta, di incontri consolanti e sorprendenti, per poi tornare nel turbine di vicende criminali – la strage degli innocenti - che li portano esuli, profughi lontani dalla loro terra. Rifanno sulla loro pelle il cammino dell’esodo del popolo di Israele. Patiscono la fatica del rientro che li apre ad una vita onesta. La nascita del loro figlio è – come per ogni bambino – un punto cruciale di una storia partita da tempo e che continua, per loro e per Lui, fino a sbiancare sulla croce e rifulgere della luce della Risurrezione.
L’Unicità di questa esperienza non li toglie dall’esperienza condivisa di tanti genitori e figli: attendere, tribolare, gioire ed educare. Perché generare è educare. Se l’educare manca, non c’è generazione vera che, collaudata nel tempo, si compie soltanto se il figlio sa stare in piedi da solo davanti al mondo, arricchito dal suo contributo unico. Serve l’alleanza educativa tra famiglia e società, compresa la Chiesa, per raggiungere questo fine, mentre leggiamo, proprio a Natale, i dati inesorabili di una situazione demografica trascurata al punto da minacciare di scrivere la parola fine a tanti progetti di crescita.
La strada dei sapienti, degli intellettuali, che seguono la luce che si illumina davanti a loro e in loro. I Magi sono questa ricerca che si fa persona e che, onestamente, perseguono lasciando gli stalli accomodati sulle loro visioni o presunte sicurezze. Vanno e cercano la strada, laddove essa non parte o si interrompe subito: nei palazzi chiusi del potere. E’ la paura dell’antagonista, di chi si pone davanti, anche solo per fare una domanda o muovere a una discussione che blocca – Erode non si muove e diventa violento per non volere sentire nulla, neanche il pianto delle mamme, dei papà e dei bambini che muoiono. Echi dal profondo del tempo di Erode, ma ancora risuonanti nella vita non tutelata al suo sorgere e al suo morire, e alle frontiere di acqua o di neve della nostra Europa. Parabola tragica di chi non vede che se stesso, la propria posizione, il suo mondo di interessi e di compagnie, palesi o nascoste, e non vuole affrontare il nuovo che scombina quanto è sempre accaduto.
La strada dei non inclusi che stanno fuori dalla città, come lo è la famiglia di Giuseppe e Maria e di Gesù, che troverà morte violenta in una croce piantata fuori da Gerusalemme. I pastori condividono questa esclusione: sono fuori dalla città, spesso dal tempio, forse in dissonanza con la legge che non li considera. Loro si lasciano smuovere, sorpresi da un vagito di vita annunciato dagli angeli. Riconoscono Dio nel Bambino “avvolto in fasce posto in una mangiatoia” e, sorpresi, lo annunciano, come faranno le donne che, escluse dalla testimonianza nei tribunali, testimonieranno la Risurrezione di quel Bambino, cresciuto nell’adempimento della Volontà del Padre fino alla morte di croce.
La spinta al mondo e al futuro passa per la strada di chi – sapiente o ignorante – lascia il cuore aperto a qualcosa, o meglio a Qualcuno, diverso da sé che interpella, entra, salva.
Il Natale vero è questo: lasciarci raggiungere da Dio, Bambino per noi. Meravigliarci di questo incontro donato che consola, vince, salva. Coglierne anche solo il riverbero o il calore da lontano, portare frutti e benefici che sempre raggiungono quanti avvertono il freddo della solitudine e del bisogno, come la voglia di crescere di essere prossimi, e volentieri si accostano al calore di questa luce.
Il Natale è al convergere di tante strade. Lo raggiunge il pianto di chi lo teme latore di tristezza e di memorie doloranti; la caparbietà di chi ancora crede alle radici per portare frutti saporiti e fronde ombreggianti per tutti; la fragile vigoria della famiglia e della vita che nasce; l’onesto cercare di quanti lasciano il cuore fremere agli appelli e ai segni dei tempi e del cielo; la gratitudine tenace di chi è nel bisogno e si meraviglia. E’ capace – ne siamo certi! - anche di scalfire i cuori fatti pietre e socchiudere i portoni sprangati. Buon Natale a tutti.
Enrico Solmi
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