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editoriale

Quel pacifismo estremo che fa il gioco del tiranno

Atterrano a Kiev le armi Usa, anche Londra si schiera

di Francesco Bandini

18 Marzo 2022, 14:27

C’è qualcosa di profondamente illogico e perfino di immorale nelle argomentazioni con cui i pacifisti più estremi di casa nostra si oppongono all’invio di armi all’Ucraina come tangibile – e per ora anche più efficace – supporto alla loro strenua lotta contro l’invasore russo. Costoro sostengono la tesi secondo cui inviare materiale bellico all’Ucraina è sbagliato per due ragioni: perché allontanerebbe la fine del conflitto, non facendo altro che prolungare inutilmente le sofferenze del popolo aggredito, visto che tanto la superiorità militare dei russi è schiacciante e finirebbe comunque per prevalere; e perché fornire armi esporrebbe chi offre tale sostegno (e quindi anche noi) al rischio di un coinvolgimento diretto nello scontro, poiché è considerabile alla stregua di un co-belligerante.


La mancanza di logica della prima argomentazione è palese. Se si conviene che in questo conflitto chi aggredisce è nel torto, è di tutta evidenza che chi subisce l’aggressione dovrebbe potersi difendere con tutti i mezzi che ha a disposizione (o che, con l’aiuto internazionale, potrebbe avere). Nel diritto internazionale il diritto alla legittima difesa di uno Stato attaccato da un altro Stato è sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, ma non ci sarebbe nemmeno bisogno di tale alta codificazione per confermare qualcosa che è già scritto nel dna di ogni essere umano e di ogni popolo, ovvero il diritto a difendersi quando si è attaccati. Se si afferma di essere dalla parte di chi è aggredito, e allo stesso tempo si riconosce l’impossibilità di scendere direttamente sul campo di battaglia al suo fianco (per le ragioni che sono chiare a tutti, ovvero evitare la Terza guerra mondiale), la logica conseguenza è di aiutare con i mezzi più efficaci possibili chi si trova a fronteggiare l’invasore: inviare armi è ovviamente la prima e più importante opzione. Non farlo perché il nemico viene considerato troppo forte per essere battuto significa in primo luogo voltare le spalle a chi è vittima e necessita di aiuto; significa rinunciare in partenza a dare una chance in più di successo (o di sopravvivenza) a chi ne ha disperatamente bisogno; significa sottovalutare le capacità militari di un Paese che finora ha comunque dato prova di stupefacente forza e determinazione nel difendersi e perfino anche nel contrattaccare il gigante russo; ma significa soprattutto schierarsi di fatto dalla parte del torto, perché propugnando un neutralismo che abbandona l’Ucraina a se stessa, si favorisce in realtà il tiranno che aggredisce, perché se non fai quello che potresti fare, in questo modo sei tu che fai la differenza, in sfavore dell’aggredito e quindi in favore dell’aggressore.


Per quanto riguarda la seconda argomentazione contro la fornitura di armi, ovvero che ci esporrebbe a rischi diretti rispetto al guerrafondaio Putin, essa è semplicemente immorale. Già i Paesi occidentali non possono fare ciò che pure avrebbero la forza militare di fare, per un senso di responsabilità che impone l’obbligo di massima prudenza per evitare concreti rischi di un allargamento incontrollato e devastante del conflitto su scala globale e con armi non convenzionali letali; se a questo si aggiunge la pretesa di inerzia totale anche sul fronte del supporto militare indiretto, si nega definitivamente la possibilità di sopravvivenza di un’intera nazione in quanto entità libera e sovrana e la si condanna a soccombere, un esito del quale sarebbe moralmente responsabile (ma sarebbe meglio dire colpevole) chi ha detto «no» nel momento del bisogno.


Contribuire a prolungare il conflitto grazie alle armi che si forniscono a una nazione che vuole difendersi e che con quelle armi può resistere più a lungo e contrastare con più forza l’invasore, non vuol dire affatto prolungare inutilmente le sofferenze di quella nazione. Certo, la sofferenze continueranno ad esserci, ma quel tempo in più non è utile solo per potersi difendere, ma anche per far sì che tutti gli altri interventi di natura non militare che nel frattempo sono stati adottati (sanzioni economiche, negoziati diplomatici, pressioni politiche) possano produrre risultati, nella speranza che tutto questo (e cioè l’insieme delle azioni militari e non militari) possa determinare mutamenti dello scenario che alla fine portino a una cessazione delle ostilità. Quindi il tempo gioca a favore dell’Ucraina, mentre di sicuro non giova alla Russia, che già ora denota difficoltà logistiche nella conduzione del conflitto e che soprattutto potrebbe dover fare i conti con il proprio fronte interno, quello di un’opinione pubblica che, per quanto anestetizzata da decenni di propaganda e disinformazione e terrorizzata dai metodi sempre più brutali di un autocrate senza scrupoli, potrebbe cominciare a sollevarsi di fronte alle bare di giovani soldati che arrivano dai campi di battaglia e alla sempre più dura repressione del dissenso, oltre che alle conseguenze economiche che le sanzioni internazionali stanno iniziando ad avere sul Paese.


L’auspicio dei neutralisti più oltranzisti che l’Ucraina semplicemente alzi le mani e si consegni all’invasore perché tanto non ha speranze, così come la loro opposizione alla scelta di armare gli ucraini perché così almeno possiamo stare tranquilli ed evitare grane, suonano, oltre che vagamente cinici, anche incomprensibili e sorprendenti quando provengono da certi ambienti della sinistra e dell’antifascismo militante, considerato che gli ucraini che imbracciano le armi contro l’invasore russo sono «resistenti» non meno di quanto lo furono i partigiani italiani con l’occupante nazista durante la Seconda guerra mondiale. Forse che i partigiani avrebbero dovuto arrendersi riconoscendo l’evidente preponderanza militare tedesca? Forse che anche loro avrebbero dovuto evitare di prolungare le sofferenze del popolo italiano con una lotta impari e disperata che chiaramente avrebbe portato lutti e orrori? Certo che no. Non si sono arresi e hanno combattuto, per nostra fortuna. Proprio come gli ucraini oggi, che vorrebbero poterlo fare con il supporto di chi dice di essere dalla loro parte. Non dare loro l’aiuto che disperatamente chiedono non è solo cinico ed egoistico, ma perfino immorale e colpevole. Non pretendiamo di insegnare agli altri cosa fare della propria libertà: lasciamo che combattano per conservarla e, visto che abbiamo la possibilità di fare qualcosa per aiutarli, facciamolo. 

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