STORIE DI MIGRANTI
Ha 97 anni, portati con eleganza. Giuseppe Pesci, Pino per tutti, è il decano degli emigranti bardigiani. Al suo novantesimo compleanno, festeggiato da un mare di gente, è stato lui ad aprire le danze. Alcuni anni dopo è insorto qualche problema, superato. Ha accettato di raccontarsi nella sua casa in via Belvedere, quartiere dei «gallesi» di Bardi.
Dalla sua poltrona Pino vede immagini dal mondo ad alta definizione e una galleria di volti che va dai nonni bardigiani ai pronipoti statunitensi. «Sono nato a Dorbora di Costageminiana il 23 agosto 1925 – esordisce –. A due anni mia madre, Giovanna Stomboli, mi portò in Galles, a Ferndale. Mio padre Giovanni era partito per primo». Nella Rhondda Valley, nota per le miniere di carbone, molti emigranti provenienti dalla Val Ceno iniziarono a lavorare da garzoni e poi impiantarono attività in proprio.
«Da noi c’erano due miniere, i lavoratori erano soprattutto gallesi. Gli italiani aprirono bar che facevano anche da ristorante ed erano molto frequentati. A Ferndale oltre a noi c’erano i Fecci, i Gazzi, i Bertorelli. I Bacigalupo vendevano tabacco».
Una cosa spiacevole che ricorda è quando la Gran Bretagna entrò in guerra. «I ragazzi gallesi mi chiedevano perché non militavo nell’esercito inglese. Io rispondevo che mi avevano rifiutato per qualche difetto. Mio padre seguì la sorte degli italiani maggiorenni: fu internato nell’Isle of Man ed ebbe la fortuna di non essere imbarcato sull’Arandora Star. Stette nel campo quasi un anno, poi uscì e andò a Newtown dove affiancò nel suo locale la parrocchiana Clorinda Antoniazzi che aveva perso il marito nel siluramento della nave. Io, compiuti i sedici anni, ero controllato come straniero. Non potevo uscire di casa prima delle sei e dovevo rientrare entro le dieci di sera. Se andavo fuori città dovevo dichiararlo alla polizia». Per i Pesci, che prima di Giuseppe generarono Luigi, morto prematuro, e dopo Giuseppe, Luisa, la guerra passa senza troppi danni. Quando finisce si trasferiscono a Londra, dove già la via era aperta. Il loro cognome, in inglese «fish», è un destino.
«Nell’East End c’erano tre “Pesci Bros fish and chips shop”: il primo aperto, a Barking, dello zio Gioacchino, padre dei miei cugini Mario e Charlie; un altro, a Dagenham, di mio zio Serafino, padre di Giuliana, Viviana, Renato e Maria; uno, sempre a Dagenham, di Giovanni, mio padre. Erano cinque miglia l’uno dall’altro. Sono rimasto nello stesso fish shop prima con i miei, poi con mia moglie Rina Rabaiotti, che era di padre italiano e madre gallese. La incontrai a Londra e iniziai a frequentarla in Galles. Ci siamo sposati quando lei aveva quasi quarant’anni e io quarantatré. Era tardi per avere figli». Attraverso la sorella Luisa, che vive a New York e ogni estate torna a Bardi, Giuseppe ha tre nipoti che vede quasi ogni anno.
Pino ricorda con soddisfazione: «Nel nostro negozio cucinavamo fish and chips, meat pies (calzoni ripieni di carne), fried chicken (pollo). Avevamo sei qualità di pesce: merluzzo, nasello, anguilla, platessa, salmone, halibut. Usciva croccante dalla friggitrice. Era buonissimo». Raggiunta la pensione e ceduta l’azienda, il ritorno a Bardi, nella villetta costruita dal padre. Lo seguì nel rientro il cugino Mario, scomparso poi nel 2022 a 91 anni. Continua: «A Bardi sono molto affezionato e ho tanti amici. Frequento i bar dove trovo sempre qualcuno con cui parlare e d’estate anche gli emigranti che tornano per le ferie. Purtroppo vent’anni fa è morta mia moglie. Lei e mia sorella Luisa erano due ballerine fantastiche. Un giorno, a Londra, Rina ballò il tango, la gente la guardava ammirata. Non ho mai visto danzare così».
È da lei, Pino, che ha imparato a danzare? «No. Io ballavo canzoni moderne e ballo liscio già quando avevo 17 anni». E oggi come sta? «Sa che non riesco a credere di avere 97 anni? Non li sento». E non li dimostra! Qual è stato il suo segreto? Ride: «Mangiare fish and chips tre volte la settimana».
Laura Caffagnini
© Riproduzione riservata
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata