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Quando a Parma bruciavano le streghe

Quando a Parma bruciavano le streghe

di Lorenzo Sartorio

17 Giugno 2024, 03:01

Per i parmigiani, la notte del 23 giugno (solstizio d’etate), è una seconda vigilia di Natale laica: è la veglia «äd san Zvàn». Cambiano i protagonisti sulla tavola: gli anolini vengono sostituiti dai tortelli di erbetta. E, se la vigilia di Natale (solstizio d’inverno), è rappresentata dalla «galabrùzza» sull’agrifoglio, la magica notte di San Giovanni è caratterizzata dalla «rozäda» che si posa sulle noci che, opportunamente lavorate, daranno vita al balsamico nocino. E’ anche la notte degli inganni ma, soprattutto, delle streghe che, come vuole l’antica usanza, proprio in questa notte, danzano attorno ad un noce. Già, le streghe.

In «pramzàn», come specifica Guglielmo Capacchi nel suo straordinario «Dizionario italiano - parmigiano» (Silva editore), la strega è «strìa», «bórda» (che frequenta i luoghi bui come cantine, sotterranei e solai), «lücabaža» (entità notturna dei boschi che fa smarrire i viandanti facendo loro intravedere un lume). Le nonne quando raccontavano le antiche «fòle» ai nipotini, non mancavano mai di narrare ai piccoli le tremende gesta delle streghe cattive che sarebbero scese dal camino o si sarebbero nascoste negli angoli più reconditi della casa se i bambini avesse fatto i capricci. Adesso parlare di streghe fa un po' sorridere anche se, ai nostri giorni, la malvagità non è che sia cambiata rispetto ai tempi delle streghe. Anzi!!! Però, un tempo, la streghe incutevano davvero paura a grandi e piccini. Infatti, in campagna, le mamme non volevano assolutamente che i bambini giocassero all’ombra di un noce poichè i suoi diabolici influssi negativi non li avrebbe fatti crescere affliggendoli, per di più, del « mäl dal simiòt», ossia il rachitismo. E, sempre sotto il noce, non si dovevano stendere i panni ad asciugare, altrimenti si sarebbero imbevuti di influssi malefici. Tutti questi timori erano dettati dal fatto che le streghe, nella magica notte di San Giovanni, avevano la consuetudine di danzare proprio attorno ad un noce.

Le streghe volavano? Sembra proprio di sì come le civette, i gufi ed i pipistrelli. In un antico talismano si parla di un magico unguento con il quale le streghe si spalmavano pronunciando l’arcana formula «io mi ungo di quest’unguento che mi porti ratta come il vento et in un hora m’abbi portato e al canto del gallo m’ abbi riportato». Per proteggere i castagneti dall’ira delle streghe in alcuni paesi appenninici al confine tra il parmense, il reggiano e la Lunigiana, la notte di San Michele (29 settembre) la gente si riuniva all’imbrunire nella piazzetta. Si snodava una processione, con tanto di torce, per le strade e per i castagneti al fine di esorcizzarli attraverso il fuoco dal pericolo di fatture da parte delle streghe. Per evitare che la grandine, auspicata dalle streghe, rovinasse il raccolto, alle prime avvisaglie di nubi tempestose, si usava suonare le campane «per rómpor l’aria», così facendo, si sarebbe allontana la «timpésta» mentre invece per la Viglia di Natale veniva fatta bruciare la «soca äd Nadäl» («nataleccio») grosso pezzo di legna i cui resti venivano conservati ed esposti sull’aia per proteggere campi, stalle e pollai dalle malvagità e dalla stregoneria. Alcuni confondono le streghe con la guaritrici: le nostre «medgón'ni». Nulla di più sbagliato ed offensivo nei confronti di queste sensitive per il fatto che, le streghe, procuravano il male, le «guaritrici», invece, ed il nome stesso è eloquente, cercavano di curarlo con i loro empirici metodi ed, inoltre, cercavano di togliere il malocchio. Alle «medgón'ne» ha dedicato un interessante libro «La lepre e la luna» (edito da Exòrma nell’ottobre 2023) lo scrittore parmigiano Mario Ferraguti.

Quali sono state le streghe parmigiane, o presunte tali, finite sul rogo? Vediamone alcune storie. Iniziamo con Claudia Colla, figlia del parmigiano Camillo Colla e di Elena Torti, discendente di una famiglia notabile di Castell’Arquato, benestante, ma non nobile. Claudia, a quindici anni, conosce Ranuccio I° Farnese, quarto Duca di Parma e Piacenza, quinto Duca di Castro, figlio del grande condottiero Alessandro Farnese e di Maria D’Aviz. La sua fama non è delle migliori, è conosciuto come un uomo diabolico, superstizioso, sospettoso, confiscatore di beni altrui. L’incontro tra i due avviene durante una festa nella residenza del Duca, il castello di Gragnano Trebbiense, a pochi chilometri da Piacenza. Claudia è giovane, bella ed intelligente. È difficile restare indifferenti alla sua avvenenza. Ranuccio la nota immediatamente, si invaghisce di lei che vede in lui un uomo che può fare la differenza nella sua vita. Anche madre di Claudia, Elena, fa di tutto perché la storia diventi seria ed importante. In breve, Claudia, diventa l’amante segreta di Ranuccio ed i loro incontri clandestini si fanno sempre più frequenti.

Claudia, con i genitori, si trasferisce a Palazzo Ducale, con cortigiani e nobili che, malvolentieri, viste le loro origini, sono costretti a considerarli loro pari per non contrariare il Duca. La vita di Claudia scorre serena, rimane incinta due volte, partorendo figli sani e forti. Continua a sperare che un giorno il Duca si deciderà a sposarla, a riconoscere i bambini come suoi, come eredi della casa Farnese, continua a sognare la sicurezza che un titolo nobiliare può darle. Ma il colpo di scena, per la ragazza, avviene nel 1599, quando, per ragioni di Stato, Ranuccio decide di sposare Margherita Aldobrandini, nipote di Papa Clemente VIII°. Margherita non è bella, anzi è bruttina e malaticcia, ma è molto ricca ed influente. E, questo, a Ranuccio piace. Il potere è la sua linfa vitale. Nel giro di breve tempo emergono i primi problemi legati alla possibilità di avere dei figli. Il loro primo nato, vede la luce l’8 agosto 1602. Sopravvive poche ore. L’anno seguente, Margherita, è di nuovo incinta, questa volta partorisce una femmina, che muore in pochi giorni. Ranuccio è furioso. Non si dà pace. Due figli bastardi sani. Due figli legittimi morti.

Come può essere tanta malasorte? I fatti che accadono dopo non sono certo dei più felici. Due aborti successivi e, finalmente, un bimbo, Alessandro, che riesce a sopravvivere. Ma la gioia dura poco perché il piccolo è sordomuto ed epilettico, malattia ereditata dal padre. Dopo un primo allontanamento da Palazzo, Claudia, cerca di convincere Ranuccio a riprendere la relazione, ma più che altro a riconoscere i figli avuti con lei. Il Duca cede alle lusinghe di Claudia e riprende a farle visita la notte.

In breve tempo la salute di Ranuccio peggiora. Ancora malasorte. Soffre di tantissime patologie ed inizia a sentire e vedere cose che sono solo nella sua testa. Al castello di Gragnano giungono, chiamati da Margherita, i migliori medici della zona. Nessuno sa cosa sia successo, nessuno capisce cosa scateni la follia del Duca. Nessuno lo sa, ma Ranuccio non ha dubbi, è vittima di un sortilegio, un maleficio lo ha colto improvvisamente, rendendolo schiavo dei fantasmi che popolano la sua mente.

Il 27 aprile 1611 le guardie di Ranuccio bussano alla porta di Claudia e le portano via i figli. Viene reclusa nel sotterraneo del castello e, per volere di Ranuccio, viene accusata di stregoneria per i malanni procurati alla sua persona e per la morte dei figli avuti con Margherita. Spinta dalla sofferenza dell’incarcerazione e dalla violenza subita in carcere confessa di essere una strega. Alle sue parole si aggiungono anche quelle dei testimoni che confermano la malvagità della donna ed i suoi rapporti con il demonio.

Fra i testi, Antonia Zanini, un’apprendista strega. Il rogo segnerà la fine di Claudia e dalla madre Elena. La leggenda vuole che lo spirito di Claudia vaghi ancora, senza trovare pace, nei sotterranei del castello.

Fra le protagoniste del «Dizionario Biografico delle Parmigiane», interessantissimo volume realizzato dalla giornalista e scrittrice parmigiana Fabrizia Dalcò, c’è Alina. Era una strega (o, meglio, era considerata tale). Nel 1279 il Tribunale dell’Inquisizione la condannò al rogo: fu bruciata viva sulla ghiaia del torrente Parma : la «Giära». Di lei ne parla anche C. Zennoni in «Condannati a morte in Piazza Ghiaia, teatro di un mercato», edito da Mup nel 2003. Stessa sorte spettò ad un'altra parmigiana, Donna Oliva, sospettata di stregoneria e posta sul rogo nel 1337 per il semplice fatto, che come seguace di Francesco, predicava la povertà. Si dice che la sua morte indusse il popolino a coniare il termine «brùza l’oliva» che poi fu adattato ad altre situazioni che avevano comunque a che fare con il malocchio e le persone portatrici di sciagure.

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