UCCISE VITALIE SOFRONI
Un unico colpo. In pieno petto. Vitalie Sofroni era morto pochissimi minuti dopo sull'asfalto del parcheggio di via Fontanini, il 5 luglio 2022. Il suo assassino? Constantin Gorgan, moldavo come lui, collega nella ditta di trasporti del fratello di Sofroni, dove era riuscito ad entrare, appena arrivato a Parma, anche grazie a Vitalie. Condannato a 27 anni dalla Corte d'assise di Parma, in appello non aveva avuto sconti: il ricorso era stato dichiarato inammissibile per un vizio formale. Ma anche l'ultimo tentativo in Cassazione ha avuto la stessa sorte: nelle scorse settimane la Suprema Corte ha respinto l'istanza della difesa di Gorgan, rendendo così definitiva la condanna.
Un collega, Sofroni. Forse anche un amico, nei primi tempi, quando Gorgan aveva bisogno di un punto di riferimento a Parma. Ma in quei giorni di luglio del 2022 Sofroni, 39 anni, aveva accolto Mariana, la compagna di Gorgan, fuggita da casa insieme alla bambina di 9 mesi perché stanca di subire umiliazioni. Ed era diventato il rivale. Amici e conoscenti, tutti avevano negato che ci fosse una relazione tra Mariana e Sofroni, eppure Gorgan ne era convinto. Lo «riteneva l'amante della compagna», aveva sottolineato la Corte d'Assise nella sentenza, così prima l'aveva minacciato e poi ucciso «non per difendersi ma per vendicarsi», spiegavano i giudici.
Già in primo grado era caduta l'aggravante della premeditazione, ma era stata riconosciuta quella relativa all'omicidio in occasione dei maltrattamenti. Che da sola avrebbe fatto finire Gorgan all'ergastolo, ma le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante, dovute anche alla scelta della difesa di dire sì all'acquisizione di gran parte degli atti di indagine, avevano fatto abbassare la pena. Oltre all'omicidio volontario, erano stati riconosciuti anche i maltrattamenti nei confronti della compagna e i reati di violazione di domicilio, minaccia e porto del coltello.
Scontata la pena, Gorgan, che ha compiuto 30 anni lo scorso giugno, dovrà anche fare i conti con 5 anni di libertà vigilata, come disposto dai giudici parmigiani. Confermata anche la provvisionale di 50mila euro per Mihaela, la figlia di Sofroni, in attesa del risarcimento che sarà stabilito in sede civile. «Ora che la sentenza è diventata definitiva - sottolinea Alessandra Mezzadri, difensore di parte civile insieme al collega Matteo De Sensi -, vorrei ancora una volta mettere in luce la singolarità di questo processo, in cui un uomo è morto per difendere una donna e la sua bambina. E' un eroismo che ha un significato prezioso, soprattutto in quest'epoca in cui troppo spesso dobbiamo aggiornare il numero delle donne uccise o maltrattate».
Quel 5 luglio Gorgan era uscito di casa con il coltello e si era fatto a piedi 7-8 chilometri prima di arrivare in via Montanara, sotto casa di Sofroni, in cui da due giorni si era rifugiata la compagna con sua figlia. Si era arrampicato sul balcone ed era entrato in casa portandole via con sé. Aveva scoperto il giorno prima il rifugio di Mariana, quando aveva fatto un «sopralluogo» davanti al condominio e l'aveva vista sul balcone. Poco dopo il delitto, inoltre, quando i carabinieri erano entrati nel suo appartamento, avevano anche notato un'affilatrice per coltelli appoggiata sul tavolo della cucina. Già il 3 luglio Gorgan aveva cominciato a tempestare le forze dell'ordine di telefonate per «denunciare» l'allontanamento di Mariana.
Un omicidio nato dalla gelosia, «peraltro immotivata», avevano scritto i giudici nella sentenza di primo grado. Ma certo è che Mariana, fuggita con la bambina, doveva tornare. Altre scelte non erano tollerate da Gorgan. Che era andato a riprendersela a casa di Sofroni. Con quella lama affilata poco prima.
Georgia Azzali
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