TOANO
Si aggrava la posizione dei familiari di Giuseppe Pedrazzini, 77enne di Toano (Reggio Emilia) trovato morto in un pozzo vicino a casa, chiuso con una pesante lastra, il 12 maggio, dopo che era scomparso da qualche tempo.
Il tribunale della Libertà di Bologna, a cui si era rivolta la Procura reggiana, che coordina le indagini dei carabinieri, impugnando l’ordinanza del Gip, ha disposto la custodia cautelare in carcere per la figlia Silvia e per il genero, Riccardo Guida, al posto dell’obbligo di firma e di dimora a cui erano sottoposti. Per i giudici bolognesi la misura più afflittiva deve applicarsi non solo sui reati di truffa e soppressione di cadavere, ma anche per sequestro di persona. Nei confronti della vedova, Marta Ghilardini, rimane l’obbligo di firma e di dimora, ma anche per lei si estende al sequestro di persona. Le misure cautelari sono sospese e non esecutive fino a quando non diventano definitive, cioè fino a una decisione della Cassazione su un eventuale ricorso delle difese.
Giuseppe Pedrazzini fu tenuto segregato nella sua casa di Toano (Reggio Emilia) per motivi economici. A dirlo, in un interrogatorio del 31 maggio, è stata la moglie dell’anziano trovato morto in un pozzo, due settimane prima. La donna, Marta Ghilardini, è indagata insieme alla figlia Silvia e al genero, Riccardo Guida, per sequestro di persona, soppressione di cadavere e truffa ai danni dello Stato, per aver percepito la pensione dell’uomo anche dopo la sua morte.
Le dichiarazioni a verbale sono citate nell’ordinanza con cui il tribunale della Libertà di Bologna dispone la custodia cautelare in carcere per i due familiari più giovani e mantiene l'obbligo di firma e di dimora per Ghilardini, ma lo applica anche per il reato di sequestro. Le misure non sono comunque esecutive perché non definitive. Agli atti sono riferite anche le parole di un nipote, che ha detto di aver visto il nonno piangere perchè non poteva vedere i suoi amici
Dalle indagini dei carabinieri di Reggio Emilia, sottolineano i giudici (presidente estensore Rocco Criscuolo) emerge «l'assenza di ogni remora» da parte di Silvia Pedrazzini e Riccardo Guida «nel dar esecuzione a un progetto criminale come quello di cui è stato vittima» il 77enne, «lasciato morire, senza alcuna assistenza sanitaria, nella propria abitazione sebbene, quantomeno negli ultimi giorni prima del decesso le sue condizioni fossero di molto peggiorate».
E ancora il tribunale sottolinea «l'anteposizione del soddisfacimento degli interessi economici a ogni forma di umana solidarietà nei confronti di uno stretto congiunto», «il mantenere fermi i propositi criminosi che li hanno indotti ad agire per svariati mesi», la «scelta di occultare le prove dei propri misfatti», sbarazzandosi del corpo gettandolo in un pozzo e poi di inquinare le indagini, inviando agli inquirenti delle false email facendole apparire come inviate da Pedrazzini. Sono tutti elementi che «danno conto della proclività al delitto» degli indagati e della loro «determinazione a non consentire un regolare svolgimento dell’attività istruttoria e l’accertamento della verità». In particolare i due hanno dimostrato «totale disprezzo per l'altrui vita» e poi «spregiudicatezza e temerarietà fuori dal comune» senza «palesare alcuna titubanza o ripensamento». Per questo bisogna che vadano in carcere perché potrebbero commettere ulteriori condotte criminose, conclude il tribunale.
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