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Lilian Thuram: «Sono diventato nero a 9 anni»

Lilian Thuram: «Sono diventato nero a 9 anni»

16 Febbraio 2022, 09:54

Gli studenti dell’istituto Camillo Rondani, nell’ambito del progetto «Una conversazione con…», hanno dialogato sul tema del razzismo con Lilian Thuram, in un incontro costruttivo quanto vivace e ricco di stimoli.
Thuram, già campione del mondo 1998 con la nazionale francese di calcio, ha indossato anche le maglie del Monaco, del Parma, della Juventus e del Barcellona e, com’è noto, è impegnato da tempo nella lotta al razzismo. Nel 2008 nasce la «Fondazione Lilian Thuram Éducation contre le racisme», nel 2013 pubblica il volume «Le mie stelle nere», che propone, contro ogni discriminazione razziale, i ritratti di grandi personaggi che si sono distinti nella storia, ma anche nella difesa dei diritti della donna e dell’uomo: da Esopo a Barack Obama, da Nelson Mandela a Martin Luther King, da Rosa Louise Parks a Muhammad Ali. Thuram, dunque, racconta una narrazione diversa: una costellazione nera, che brilla di vite spese a scrivere la storia o nella strenua difesa della dignità umana. Ma Thuram parte addirittura dalla preistoria, muove la sua galassia da Lucy, la nostra antenata africana le cui ossa furono trovate al suono della canzone dei Beatles.

Gli studenti del biennio del Rondani, cui si è unita anche una classe del triennio - dopo la lettura del testo insieme ai loro insegnanti nei giorni precedenti - hanno rivolto una nutrita serie di domande a Thuram in un confronto stretto: «Cosa intende quando scrive: "sono diventato nero a nove anni?"», chiede ad esempio Iryna (2ªD). Thuram risponde che nero e bianco sono due categorie inconsistenti, false, perché indotte a posteriori da un’attitudine mentale sbagliata: un bambino non viene al mondo nero o bianco, nasce e basta: le sue parole? «Io prima ero solo Lilian, poi, giunto in Europa, a Parigi dalla Guadalupa (avevo 9 anni), mi hanno chiamato nero»; è un fattore «inculcato» dall’esterno a causa dell’ignoranza e della crudeltà razziste; sostiene Lilian. Razzisti non si nasce, si diventa, sottolinea, a causa di fattori esterni che si cronicizzano in pericolose abitudini. Non c’entra la genetica: abbiamo tutti lo stesso patrimonio genetico, non ci sono razze nell’essere umano, ricorda anche nelle pagine del suo libro. Bianco o nero, insomma, sono una «maschera», non il nostro vero volto.

Non manca nemmeno un momento in cui si sorride: «Tu sei bianco?», chiede Lilian. «Sicuro? La maschera che portiamo al volto è bianca, non la persona». Le domande si susseguono, per lo strenuo difensore della propria porta sul campo quanto dell’uguaglianza tra le persone: «Cosa ha provato di fronte alle offese ricevute a sfondo razzistico?», chiedono i ragazzi. Thuram è contro il fallo di reazione: «Bisogna essere intelligenti, non impulsivi», risponde a Nicolò (2ªE); «Rimanere lucidi e pensare che non sei tu che hai un problema, ma è chi ti insulta che ha un problema». Poi rilancia, di fronte agli alunni che chiedono a più voci che ruolo possono avere i giovani nella lotta alla discriminazione razziale: «La conoscenza della storia fa in modo che il razzismo perda il suo vigore sino a spegnersi», sottolineando in questo passaggio anche l’importanza della scuola. E ancora: «Bisogna parlarne, parlarne il più possibile», per arginare il fenomeno, per essere «parte della soluzione, non parte del problema». I giovani, insomma, continua l’autore di «Le mie stelle nere», «possono fare molto di più di quanto si pensi»; e poi aggiunge, da buon giocatore: «Non devono aver timore, paura di sbagliare, sbagliare fa sempre parte del gioco». Non si può, dunque, rimanere in panchina, «restare neutrali»: si deve bensì giocare la partita contro il razzismo fino in fondo.
r.s.

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