La protesta: a Parma hanno aderito anche i supermercati
Per qualche cliente è stata una «spiacevole sorpresa», altri negozi hanno anticipato il malcontento affiggendo cartelli all’ingresso: «Non si accettano buoni pasto». La causa è lo sciopero a cui hanno partecipato ieri i pubblici esercizi, i dettaglianti alimentari e la grande distribuzione organizzata di Parma e provincia, aderenti alla protesta nazionale. Molte (ma non tutte) attività non hanno accettato alcun pagamento tramite buoni pasto, per ora, solo nella giornata di ieri.
«Un blocco necessario per far arrivare alle istituzioni l’appello, troppe volte ignorato, per una strutturale riforma di un sistema che, per via di commissioni al 20%, non è più economicamente sostenibile» dichiara Ugo Bertolotti, presidente Fipe Parma (Federazione italiana pubblici esercenti aderente ad Ascom). In pratica, per una spesa di 10 euro, l’esercente ne incassa solo 8. «Il problema dei buoni pasto c’è da anni - riprende Bertolotti -, ma in questi ultimi tempi si è davvero acutizzato e la percentuale delle commissioni è in continuo aumento».
A Parma, le principali grandi catene di supermercati hanno aderito allo sciopero, ma non sono state seguite dai piccoli negozi alimentari o dalle gastronomie. «La maggior parte dei piccoli negozi non ha aderito perché, è comprensibile, teme di perdere la clientela - fa notare ancora Bertolotti -, ma è già un grande passo la collaborazione delle grandi catene e la continua sinergia tra Fipe e Fida (Federazione italiana dettaglianti dell’alimentazione)». A confermare l’ipotesi è uno stesso commerciante, Luca Galli, responsabile della Prosciutteria Romani in via Farini: «Non abbiamo aderito allo sciopero perché, nonostante anche per noi i buoni pasto non comportino alcun beneficio economico, la clientela li utilizza spesso, ogni giorno - spiega -. Non abbiamo voluto mettere in difficoltà i nostri clienti cercando di garantire un servizio molto importante e che, soprattutto nella zona del centro, viene utilizzato da molti lavoratori, anche per pagare il pranzo». Ed effettivamente, tante sono le persone che usufruiscono dei buoni: «Lavoro per una famosa azienda parmigiana - racconta un signore in fila alla cassa -, mi consegnano i buoni a fine mese e sono un grande contributo per fare la spesa». Diversi clienti sperano che la tendenza sia quella di continuare ad accettare i buoni come metodo di pagamento, altrimenti, oltre ad aver perso un grande servizio, il rischio sarebbe quello di «trovarsi in tasca dei buoni non più utilizzabili - fa notare Andrea De Sanctis, davanti al Conad della Ghiaia -, il che sarebbe davvero uno spreco».
Alla «Casa del Formaggio» di via Bixio «l’uso dei buoni pasto è da tempo limitato alla metà del totale della spesa e solo per quelle aziende che assicurano commissioni non superiori al 10% - rivela Luca Corradi, uno dei responsabili del punto vendita -. Quello dei buoni è un mondo un po’ nebuloso, anche dal punto di vista burocratico: dovrebbero agevolare esercenti e clienti». La preoccupazione è condivisa anche dalle grandi catene di supermercati, tante ieri hanno aderito allo sciopero. In alcuni punti Conad della città «l’atmosfera è stata comunque collaborativa, la maggior parte dei clienti hanno compreso le nostre ragioni e molti sono d’accordo con noi - riferisce Stefano Munari, presidente Fida Parma -. È però capitato che qualcuno sia stato costretto a lasciare qualche prodotto che aveva nel carrello in cassa: da qui capiamo quanto siano importanti questi aiuti in tempi difficili come quelli in cui stiamo vivendo».
La richiesta che anima lo sciopero, infatti, non è quella di eliminare i buoni, ma è anzi «fare sì che i buoni pasto diventino a tutti gli effetti un’opportunità, un servizio per la clientela, senza mettere in difficoltà l’esercente - sottolinea ancora il presidente Fipe Ugo Bertolotti -. La protesta ha l’obiettivo, quindi, di salvaguardare la funzione stessa del buono pasto».
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