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I 70anni di Gustav Thoeni

I 70anni  di  Gustav  Thoeni

di Vanni Buttasi

26 Febbraio 2021, 09:50

Compie settant'anni una leggenda dello sport italiano, e dello sci alpino in particolare. Domenica 28 febbraio sarà festa grande al «Bella Vista», l'hotel di famiglia a Trafoi, dove il campione olimpico è nato nel 1951.  Per noi ragazzi negli anni '70, Thoeni è un vero e proprio mito: prima di lui solo Zeno Colò si era preso il lusso di vincere le Olimpiadi nel 1952 con gli sci ai piedi. Poi è arrivato lui, il ragazzo altoatesino: poche parole e tante vittorie, medaglie olimpiche e titoli mondiali.  

Nella prima metà degli anni Settanta è stato sempre lui, con i suoi successi, a trascinare gli italiani in montagna: sempre grazie a lui, i giornali e la televisione hanno dato spazio ad una disciplina, lo sci alpino, che solitamente finiva nelle «brevi di sport». E, con le sue vittorie, siamo diventati tutti esperti di slalom e discese, di passo-spinta. Insomma Gustav Thoeni è stato il «messia»  dello sci. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente nel suo albergo di Trafoi e con lui abbiamo ripercorso la sua carriera, ricca di vittorie e carica di emozioni per tutti noi che l'abbiamo seguita attraverso le telecronache di Guido Oddo o Alfredo Pigna.

Quando ha cominciato a sciare?
«Avevo tre-quattro anni: ad insegnarmi sono stati un po' mio padre, un po' mio nonno. Ma era soprattutto un modo per giocare. La prima gara da ragazzino con lo sci club del paese: avrò avuto una decina di anni. Poi ho cominciato a gareggiare fuori dal comune, infine nel 1965 ho vinto il trofeo Topolino al Monte Bondone,  a Trento».

E da lì è cominciata la sua ascesa: tra le tante vittorie conseguite in carriera quale la rende più orgoglioso?
«Difficile citarne una sola. Certamente la vittoria in Val d'Isère nel gigante di Coppa del mondo (11 dicembre 1969 ndr), poi la medaglia d'oro, sempre in gigante, alle Olimpiadi di Sapporo nel 1972 e i titoli mondiali conseguiti a St. Moritz nel 1974. E la prima Coppa del mondo generale nel 1971 che, però, era il frutto di tutta una stagione».

Cosa ricorda dell'oro olimpico di Sapporo?
«La partecipazione ad un'Olimpiade è un sogno che coltivi fin da bambino. E la vittoria a Sapporo, insieme alla premiazione, è una cosa che rimane per sempre nel cuore, che mi commuove ancora. Più di ogni altra gara che ho disputato nella mia lunga carriera».

Possiamo dire che lei, con le sue vittorie, ha fatto nascere la «Valanga azzurra»?
«Indirettamente, ho dato lo spunto per copiare. In me avevano un importante punto di riferimento. Alla nascita della “Valanga azzurra”, però, hanno contribuito in tanti, a cominciare dal direttore tecnico Mario Cotelli, per continuare con gli allenatori, tutti molto bravi. Nella squadra c'era un ottimo clima. Rivalità? In gara certamente sì, fuori eravamo tutti amici».

Chi è stato l'avversario più temuto?
«All'inizio, negli anni '70, i francesi erano molto forti. Dal 1975 sicuramente Ingemar Stenmark, il più grande rivale».

Ma un avversario forte lei lo aveva nella sua squadra: Piero Gros?
«Come ho già detto, avevo un buon rapporto con lui: in gara certo c'era rivalità. Ma poi tutto finiva. Io e Gros ci conoscevamo molto bene perché ci allenavamo insieme».

Tra gli slalom, preferiva il gigante o lo speciale?
«Tutti e due senza nessuna preferenza. E poi mi piaceva anche la discesa libera».

A proposito di discesa libera, tutti ricordiamo la sua prova sulla mitica Streif  di Kitzbuhel il 18 gennaio 1975 quando arrivò a soli tre millesimi da Franz Klammer, il grande discesista: cosa ricorda di quella gara?
«In quell'anno andavo bene anche in discesa, conquistai tanti punti arrivando nei primi dieci. Con la maturità, avevo acquisito molta esperienza e fui aiutato dai materiali veloci. Era una pista che conoscevamo bene».

Lei, oltre ad essere stato un grande sciatore, è stato anche l'allenatore di Alberto Tomba, insieme avete vinto tutto: come era il vostro rapporto?
«Nonostante  avessimo due caratteri completamente diversi, con Alberto abbiamo lavorato molto bene insieme. La preparazione durante l'estate veniva decisa di comune accordo. E Alberto era una persona che ascoltava i consigli che gli davo».

Come possiamo definire lo stato di salute dello sci azzurro?
«Direi buono: i mondiali di Cortina d'Ampezzo, purtroppo, non sono andati come speravamo. Quando si gareggia in casa la tensione è sempre molto alta e gli azzurri non hanno reso come ci si aspettava. Soprattutto le donne:  in gigante e supergigante Bassino e Brignone potevano fare meglio. I maschi, per due volte, sono arrivati quarti. Nello slalom gigante De Aliprandini ha disputato un'ottima gara, soprattutto nella seconda manche quando la tensione è salita».

Come imprenditore cosa pensa di questa difficile situazione per il turismo in montagna?
«Ormai per questa stagione non si rimedia più. Confidiamo di rimettere un po' in sesto la situazione grazie ai vaccini e speriamo che gli alberghi possano riaprire per la stagione estiva».

Domenica 28 febbraio festeggerà 70 anni: come si sente?
«Cominciano ad essere tanti, ho piccoli acciacchi ma niente più. Mi diverto a sciare con i miei nipoti».

Lei è stato diverse volte a Parma, ha ricevuto nel 2013, alla cerimonia per il Premio «Sport Civiltà», il riconoscimento «Una vita per lo sport» con Piero Gros: cosa ricorda della nostra città?
«Sono venuto diverse volte da voi, ricevendo numerosi premi. Ricordo anche le visite alla Parmalat che sponsorizzava il parallelo della Val Gardena».

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