Dopo la condanna definitiva a 3 anni e 6 mesi per tranche bancarotta
Si tratta di una «riproposizione di materiale istruttorio già vagliato in occasione dei precedenti procedimenti». Con questa motivazione la Cassazione ha dichiarato «inammissibile» il ricorso di Matteo Arpe, ex direttore generale di Capitalia, contro la sentenza della Corte d’Appello di Ancona che aveva bocciato l’istanza di revisione del processo per il quale è stato condannato a 3 anni e 6 mesi per bancarotta per fatti «commessi - come spiega la Suprema Corte - nel più ampio contesto del tracollo del gruppo Parmalat».
Il processo, che si era chiuso con una condanna definitiva per Arpe e per altri imputati, tra cui Cesare Geronzi, nel luglio del 2019 nel cosiddetto filone sul "crac Ciappazzi", vedeva al centro un «prestito "ponte"» da 50 milioni di euro alle società del «comparto turismo» del gruppo Parmalat da parte di Capitalia spa nel 2002. Poi, con sentenza del 3 ottobre del 2019, la Corte d’Appello di Ancona ha «dichiarato inammissibile l'istanza di revisione» del verdetto di condanna e a quel punto la difesa ha fatto ricorso anche in Cassazione.
La Suprema Corte, però, come si legge nella sentenza, osserva che la Corte di secondo grado di Ancona ha «compiuto correttamente» la valutazione sulle «imputazioni che concernono la posizione di Arpe». E, dunque, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
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