Lutto
La Rete del web non ha fatto in tempo a catturarlo: a googlerare il suo nome non si ottiene gran che.
«Googlerare?» scoppierebbe a ridere il diretto interessato, Italo Preti, sforzandosi nello scioglilingua. Se solo potesse leggere l'articolo: Preti si è spento l'altra mattina, in ospedale, e oggi (giovedì) alle 8,30, nella chiesa di San Giovanni Battista, in via Sette fratelli Cervi, si terranno i suoi funerali. Era un documentarista di classe, versatile, sensibile e colto. E un professionista con una marcia in più nel mestiere della vita. Se n'è andato con l'onore delle armi, nonostante gli acciacchi. «Era un uomo degli anni '80» dice la moglie Anna Campilii. Anni vituperati per il disimpegno e sempre più rimpianti per la leggerezza.
L'ironia ha sempre accompagnato Preti, mai catturato nemmeno dalle zavorre del mondo. Nelle suo «Ovvietà & pillole di simpatia», un libretto di freddure che scaldano il cuore pubblicato per gli amici, di sé disse: «È ovvio che il mio cognome Preti non è il massimo. Sarebbe meglio Abati (o anche Abatantuono) oppure Vescovi o Piscopo o, meglio ancora, Cardinali o addirittura Papi . (...) Attualmente ho superato gli ottanta anni, ma è ovvio che sono sempre stato così».
Fino all'ultimo sarebbe stato così: «matto, originale, solare e insostituibile». In agosto avrebbe compiuto 86 anni, 50 dei quali trascorsi con Anna. Lei ora ne parla trattenendo la commozione, per una forma estrema di rispetto nei confronti di chi ha fatto del sorriso il proprio marchio esistenziale. Gioviale, sereno e rasserenante, lui si dichiarava «l'amico pubblico numero uno». Definizione guadagnata sul campo.
Preti aveva un'immensa passione per il cinema. Fosse stata direttamente proporzionale la temerarietà, sarebbe partito allo sbaraglio per Roma. Invece, privo della certezza di entrare nella fabbrica dei sogni, si preparò all'ufficio della realtà. Si laureò in Economia e commercio. E fece altro: s'inventò documentarista, colmando con la sua Megafilm una lacuna artistica a Parma. In fondo, si trattava pur sempre di lavorare con una macchina da presa. E fu bravo, eccome, nell'era analogica. Feconda la sua collaborazione con Parma Alimentare. Preti viaggiava, ma ancora di più lo facevano i suoi filmati: e con essi gli stabilimenti presentati nelle fiere nel mondo. «Erano documentari istituzionali - prosegue Anna Campilii - con la storia delle aziende e l'illustrazione del loro processo produttivo. Le immagini erano corredate da testi tradotti nella lingua del Paese dei possibili clienti».
Così, Preti diede voce alla sua città. A lui la Cassa di risparmio di Parma (ancora senza Piacenza) commissionò «Dal 1860 al futuro». E fu lui a firmare «Novant'anni di progresso», del Consorzio agrario. Grazie in buona parte al materiale fornito dall'allora condirettore della Gazzetta Aldo Curti, girò «I bombardamenti del '44 a Parma», proiettato per la prima volta il 4 maggio del 1984. Suo «C'è sempre qualcuno», il film benefico per l'Avis, con Alberto Petrolini e Federica Cantù, che divenne anche fumetto: i testi, come in molti altri lavori, erano della moglie. Dall'economia alla storia, dal volontariato all'arte. Il suo «Il Correggio a Parma» venne anche proiettato al Louvre. Fu il suo David di Donatello.
Il cinema, già. Nel 1983, quando Terence Hill si cimentò con un «Don Camillo» a Pomponesco, Preti, innamorato anche di Guareschi, andò a curiosare. Interessato alla regia, fu fatto recitare, nei panni di un politico in campagna elettorale. Quando in realtà sarebbe stato a proprio agio in «Amici miei». A proposito di elezioni, decenni dopo, si disse che anche grazie a un suo filmato Elvio Ubaldi aveva conquistato il primo mandato. Il documentario aveva come protagonista una biciclettina parlante in viaggio tra buche, pali e piste ciclabili inesistenti. L'amore per Parma, Preti lo esternava con le critiche oltre che con le lodi.
E un concentrato d'amore è «Parma piccola capitale», un 16 millimetri di storia, economia e arte dedicato alla sua città. Preti ci mise il solito tocco: di chi sdrammatizza nella vita e alleggerisce nel lavoro. Come nel documentario per una ditta di gru. «Con queste - commentava la voce fuori campo - si può toccare il cielo con un dito e dargli una pulita, se è il caso». Chissà che cosa s'inventerà, ora che ha preso il Grande ascensore.
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