Incontro
«Di fronte a una fossa comune avevo il dovere di rappresentare quella crudezza. Così, ho raccontato ciò che ho visto, in un minuto». Stefania Battistini, giornalista del Tg1 e inviata in Ucraina da prima dell’inizio del conflitto, lo ha sempre fatto con la cura, il rigore e il rispetto che il mestiere impone e che, per natura, fanno parte di lei. È pacata e precisa, soprattutto quando ricostruisce, con esattezza e una cartina alle spalle, le fasi della guerra che da sette mesi travolgono la quotidianità degli ucraini e dell’Europa.
Di fronte alla sala di Palazzo del Governatore, ieri pomeriggio, Battistini, insieme a Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana, e a Matteo Naccari, presidente dell’Associazione della Stampa Emilia-Romagna, moderati da Mara Pedrabissi, ha approfondito l’intreccio pericoloso tra guerra, propaganda e fake news, ma soprattutto ha sottolineato l’urgenza di raccontare, con sguardo vigile e testimone, ciò che la guerra produce, con la mediazione (necessaria) di chi il mestiere lo vive, con vocazione. «Noi giornalisti sappiamo di doverci districare tra due propagande – ha rivelato l’inviata, ricostruendo l’ultimo ritiro di Mosca dai territori ucraini e descrivendo le difficoltà dei giornalisti costretti a lavorare in condizioni rese particolarmente complesse dalla legge marziale -. Non è facile fare informazione in quei luoghi e in quelle modalità ed è importante istituire dei tavoli con la stampa locale per evitare che si dialoghi solo con le giunte militari (spesso le uniche in grado di autorizzare spostamenti e movimenti, ndri)».
La cronista, che ha spiegato quanto sia difficile parlare di pace in questo momento, anche a causa dell’odio seminato dopo l’invasione, che sta dividendo due popoli fratelli e che «durerà per generazioni», durante l’incontro pubblico, a cui ha partecipato il vice sindaco Lorenzo Lavagetto, ha ricordato diversi episodi che l’hanno riguardata da vicino. Come quello in cui, durante un collegamento televisivo su Raiuno, a pochi giorni dall’inizio del conflitto, nella stanza d’albergo da cui trasmetteva ha fatto irruzione un contingente ucraino, scambiando la troupe per dei sabotatori russi: «Hanno sfondato la porta come si fa durante le operazioni di antiterrorismo e hanno buttato a terra i due cameraman. Quando hanno capito che eravamo giornalisti del servizio pubblico, dopo averci sequestrato i cellulari, ci hanno anche chiesto scusa».
«Battistini, in Ucraina, ha mantenuto il pensiero critico – ha detto Giulietti, che ha aperto il suo intervento dedicando un lungo applauso alle donne in Iran che, in queste ore, stanno manifestando il loro dissenso dopo l’uccisione, da parte della polizia morale, di una cittadina arrestata perché non indossava correttamente il velo -. Amo le passioni civili e chi fornisce al testo il contesto. Per questo è importante, quando si parla di fake news, scegliere anche tra i giornalisti. Il principio di autorevolezza, competenza e passione rende credibili, perché distingue gli oppressi. Il ruolo di Battistini rilancia quello del mediatore: le notizie false si contrastano alzando il livello di competenza e la cancellazione del ruolo dell’inviato è stata un’idiozia. Se oggi sappiamo delle fosse comuni in Ucraina è grazie a questo ruolo».
Giulietti, oltre a ricordare i 30 giornalisti in Italia che vivono sotto scorta, ha ricordato i tanti colleghi che hanno perso la vita durante l’esercizio del loro mestiere, come Giancarlo Siani e Ilaria Alpi. «Veniamo da un periodo in cui la nostra autorevolezza è stata messa in discussione e questi spot della categoria servono – ha dichiarato Naccari, sottolineando l’urgenza di avere informazione di qualità -. Dietro a una notizia o a un servizio c’è fatica, che spesso non viene riconosciuta, impegno e formazione».
«Qual è l’immagine di questa guerra che ricordo? Sono diverse: l persone che, da un lato, su alcuni fogli A4, scrivevano la parola bambini, mentre dall’altra passavano i carri armati russi, ma anche lefamiglie che costruivano le molotov – ha concluso Battistini -. Se non fossi stata lì, molte cose non le avrei capite, mentre da inviato impari a dire al tuo direttore: no, se questo non lo vedo, non lo dico».
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