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EDITORIALE

Il crollo del contenzioso in materia di lavoro

Il crollo del contenzioso in materia di lavoro

di Pietro Ichino

10 Luglio 2022, 13:25

La notizia è che dal 2012 – anno della riforma Fornero – al 2021 i procedimenti giudiziali in materia di lavoro si sono dimezzati: meno 47,4 per cento. E che a questo dimezzamento ha contribuito soprattutto la riduzione delle controversie in tema di contratto a termine, meno 91,2, e in tema di licenziamento per motivo economico, meno 66,4.
La causa di questa notevolissima contrazione va cercata probabilmente nelle riforme attuate nella XVI e nella XVII legislatura, che hanno sostituito l’obbligo della “causale” per il contratto a termine, fonte di grande incertezza sull’esito del controllo giudiziale, con un limite temporale rigido e un altrettanto rigido limite riferito alla quota di personale a termine rispetto al totale; e per il caso di insufficienza del motivo addotto dall’imprenditore a sostegno del licenziamento hanno sostituito la sanzione vigente in precedenza (reintegrazione più tutta la retribuzione perduta durante il procedimento: si poteva arrivare a diversi anni) con una indennità predeterminata nel minimo e nel massimo, riducendo così drasticamente l’alea circa il possibile esito del giudizio in proposito: ora le parti si accordano molto più facilmente senza bisogno dell’intervento del giudice. 

Una parte dei giuslavoristi ha protestato vibratamente e tuttora protesta contro quelle riforme, auspicando un ritorno a un più ampio ruolo del magistrato nelle controversie di lavoro. Perché essi identificano l’aumento del grado di protezione delle persone con l’aumento del grado di “giuridificazione” del rapporto di lavoro e con il conseguente aumento dello spazio di sindacabilità giudiziale delle sue modalità di svolgimento e cessazione. Dietro questa opposizione di una parte dei giuslavoristi alle scelte compiute dal legislatore c’è sicuramente una sincera preoccupazione per la protezione dei lavoratori; ma vi è motivo di pensare che ci sia anche una più o meno consapevole loro preoccupazione per la perdita di un proprio spazio d’azione, che nei decenni passati era stato notevolmente sovradimensionato. È in gioco soprattutto il loro ruolo.


La realtà è che nell’arco di quest’ultimo decennio la quota di rapporti a termine sul totale è leggermente aumentata, come in tutti i Paesi sviluppati, ma rimanendo comunque – in termini di stock – intorno a un sesto del totale dei lavoratori dipendenti, in linea con il resto della Ue. Ed è rimasto sostanzialmente invariato il rischio di essere licenziati, per i lavoratori italiani; per i quali la nuova disciplina legislativa prevede pur sempre un indennizzo massimo di 36 mensilità, a fronte delle 24 spagnole, delle 20 francesi e delle 18 tedesche. I lavoratori italiani continuano, dunque, a essere fra i più protetti in Europa.


Con la legge Fornero del 2012 e il Jobs Act del 2015, dunque, si è solo sgonfiata l’enorme ipertrofia del contenzioso giudiziale in materia di lavoro che aveva costituito per decenni un’anomalia italiana rispetto agli altri Paesi della Ue. Ben potremmo presentare a Bruxelles questa come una riforma strutturale molto incisiva; e invece inspiegabilmente quei dati sulla riduzione del contenzioso li teniamo quasi nascosti: sul sito del ministero della Giustizia non sono reperibili. Ma un’altra riforma che dobbiamo portare a compimento in questo campo è convincere i cultori del diritto del lavoro, i sindacalisti, molti politici di sinistra e anche di destra, che a chi lavora sono molto più utili le protezioni automatiche, self-executing, rispetto a quelle che richiedono avvocati e giudici per essere attivate. Occorre liberare la cultura del lavoro e sindacale dell’idea che la protezione di chi lavora non sia veramente tale se non passa per le aule dei tribunali.

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