Editoriale
È probabile che questo 2024 assuma nella storia un rilievo speciale, visto l’assieparsi di novità italiane, europee, extraeuropee e che tra agosto (Democratic Party Convention) e novembre le elezioni del presidente degli Usa segneranno la loro data nella storia.
Intanto, l’ultima notizia, di poche ore, fa riguarda l’Iran, uno «stato canaglia», nel quale il deputato riformista ed ex ministro della Sanità Massoud Pezeshkian (noto chirurgo con esperienze internazionali) ha vinto il ballottaggio presidenziale e sarà quindi il IX° leader della repubblica. Non si debbono nutrire illusioni sul futuro della società iraniana e delle donne di quel paese: Pezeshkian era stato ammesso alla competizione dalla teocrazia dominante e non potrà intaccare il potere dei pasdaran, della polizia morale, e di tutto il sistema militar-politico che comanda la nazione. Un segnale, però c’è stato e lo ha dato un elettorato che ha votato contro l’esponente preferito dal feroce regime.
Quanto all’Europa le elezioni generali per il nuovo Parlamento hanno dato un segnale di cambiamento e un segnale di stabilità. Le forze sovraniste e antiunioniste registrano un certo successo, ma non così significativo e rilevante quale si attendevano e speravano. E come era stato predetto.
Allo stesso tempo, gli elettori hanno confermato la maggioranza dello schieramento Ursula, premiando il partito popolare, ma punendo i socialdemocratici tedeschi e i liberali. Ursula von der Layen è stata rieletta. Ma ora, per ottenere un percorso sufficientemente condiviso nei prossimi 5 anni, la presidente della Commissione dovrà conquistare consensi al di fuori del perimetro della sua maggioranza, coinvolgendo chi è disposto a starci a condizioni praticabili. In questo stato di attesa attiva e negoziante ci sono i verdi e la nostra Giorgia Meloni con i suoi conservatori, ormai privi di Vox e perciò meno contrari di ieri al governo von der Layen. In ogni caso, l’assenza di Vox ha accresciuto la libertà di manovra della nostra premier.
Si deve, peraltro, porre sul tavolo la questione che condiziona più di tutte le altre nell’Unione Europea: l’aggressione russa all’Ucraina che, in definitiva, conferma di essere il discrimine tra il campo europeo e occidentale e i vari settori filorussi.
E questo non mancherà di pesare sul ruolo dell’Italia e dell’Unione nei prossimi 5 anni.
Da noi il 2024 vede l’approvazione dell’autonomia rafforzata per alcune regioni e passi avanti nel lungo iter costituzionale per il premierato elettivo. Dietro questi passi legislativi è emerso un serio deterioramento dei rapporti tra Fratelli d’Italia e Forza Italia con la Lega di Salvini sempre più sulla strada di un’autonoma, persistente e dannosa contestazione dell’Europa. Poco compatibile con l’azione di governo.
Nel Regno Unito, vincono i laburisti che hanno abbracciato con Keir Starmer una linea ragionevole e moderata, promettendo stabilità e miglioramenti sociali oltre che continuità delle politiche internazionali. Una lezione per i massimalisti di tutte le latitudini, Italia compresa.
Anche la Francia ha registrato uno storico cambiamento: comunque vada l’odierno ballottaggio, la Republique è diventata un soggetto politico diverso dal passato. Il Rassemblement National è il primo partito, realtà che non sarà priva di conseguenze interne ed esterne, soprattutto europee.
Infine l’«elezione delle elezioni», che determinerà il futuro di tutto il mondo occidentale: la presidenza degli Usa, l’unica che conta per i cittadini Usa ma anche per i cittadini delle decine di paesi che appartengono al mondo occidentale (anche in estremo Oriente).
Nella storia, soltanto durante l’impero romano accadeva che il cambio di un imperatore avesse conseguenze su un numero di donne e uomini ben più ampio dei «Romani cives».
Oggi, e finché resteranno prima potenza mondiale economica, scientifica, militare, gli Stati Uniti e il loro presidente influiranno sulla vita di miliardi di essere umani, ovunque esistenti. Ed è per questo che il confronto tra Trump e Biden o chi il partito democratico sceglierà al suo posto ci riguarda e non poco, come riguarda le istituzioni europee e fortemente l’Ucraina e lo stato di Israele.
La ragione è evidente ed è estranea alla dialettica interna tra repubblicani e democratici. Trump infatti porta seco una visione isolazionista («America first» una proposizione che avebbe impedito agli Usa di entrare nella prima guerra mondiale e che avrebbe limitato il loro ingresso nella seconda al quadrante Pacifico) che comporta lo smontaggio dell’Alleanza atlantica e l’abbandono dell’Unione europea all’abisso delle proprie impotenze, soprattutto alla sua insufficienza militare.
Ovviamente, come sempre, non mancano coloro che, anche in Europa, sostengono la linea Trump, dimenticandone i possibili disastrosi effetti.
Non certo Giorgia Meloni che sin qui è stata pienamente consapevole del peso degli equilibri internazionali sulla vita delle nazioni.
I cambiamenti ci aprono all’ignoto, un luogo in cui tutto può accadere nel male e nel bene, per il quale dobbiamo impegnarci con le nostre idee e con il nostro lavoro.
Visto lo stato politico globale non sono ammesse diserzioni.
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