la lettera
Andando a ritroso, in un tentativo di lettura di questa tornata elettorale, si evidenziano alcuni elementi significativi che ne hanno contraddistinto - e condizionato - lo svolgimento. Innanzitutto, come prevista dal Rosatellum, c’è stata l'impossibilità degli elettori di esprimere preferenze. Non è un fatto nuovo. Non nuova, anzi, ampiamente prevista, come nei fatti è accaduto in qualsiasi partito, è stata, quindi, la bagarre fra gli aspiranti al posto nei collegi uninominali e per la collocazione in un listino bloccato, per l’elezione alla Camera e al Senato. In più, nei mesi che hanno preceduto il voto, abbiamo partecipato ai contatti, ai veti e divieti incrociati per costruire alleanze e coalizioni. E non ci è stata risparmiata nemmeno la maieutica del parto del terzo polo, dopo patti siglati 48 ore prima con altre direzioni. Per un bel po’ di tempo, la scena è stata tutta presa dal rompicapo della costruzione delle liste bloccate. E i cittadini-elettori, in questo contesto, come si sono collocati? I cittadini dove hanno assistito a questo spettacolo?
La tornata elettorale per la 19esima legislatura è stata sicuramente condizionata dalla ristrettezza dei tempi. Questo dato basta, tuttavia, a giustificare la disaffezione palese dei cittadini? È sui temi proposti dai singoli leader nella sconfortante assenza di confronto fra loro in dibattiti pubblici, che si è manifestata una «diastasi» fra politica e il «popolo»? Sono stati i toni, i veleni, lo scadente livello di alcune – troppe? - argomentazioni ad acuire il senso di distanza che si è creata fra i cittadini e la politica? Molto probabilmente c’è stato anche questo. Purtroppo. Sta di fatto che questa tornata elettorale è stata segnata, ancor più delle precedenti, da un astensionismo che è frutto di questa distanza.
Ma anche questo non è sufficiente. L’astensionismo e il senso di delusione sono – anche - figli del senso di estraneità degli elettori rispetto ai partiti e rispetto ai candidati proposti dai partiti. L’attuale sistema elettorale genera infatti estraneità, emarginazione politica e, nei fatti, una crisi di partecipazione. Le liste bloccate, confezionate dentro le segrete stanze dei partiti, i nomi imposti privano il cittadino della possibilità di esercitare un reale diritto di scelta. Diritto che solo il sistema delle preferenze concedeva. L’assenza di una campagna elettorale condotta come avveniva un tempo, nella vituperata prima Repubblica, sui territori, a contatto con gli elettori, «mettendoci la faccia», isterilisce e sclerotizza ogni possibilità di confronto e di conoscenza diretta fra cittadino e candidato, il cui nome era – dovrà tornare ad essere - presente in lista, per le idee che manifesta, per la storia della propria vita. Con l’attuale sistema, invece, le candidature sono esclusivamente un affaire di partito e il suggello sui nomi, di fatto, è posto dai segretari, dai vassalli, dai valvassori e dai valvassini e dai capibastone. È vistosa la ristrettezza della cerchia che ha potere decisionale in merito, con piena estromissione di quella che un tempo si chiamava «la base» degli iscritti. È venuto meno l’esercizio del diritto ad indicare effettivamente i propri rappresentanti in Parlamento. A tutto svantaggio anche dei «prescelti» dagli apparati di partito, che trarrebbero beneficio dall’espressione di libera scelta degli elettori, anziché rimanere incastrati nei sistemi del burocratismo partitico. Gli stessi partiti risultano inevitabilmente depauperati della linfa vitale che, attraverso il dibattito interno e la conoscenza della biografia di ciascuno, possono fare emergere i più capaci di ottenere la fiducia degli elettori.
La possibilità di esprimere la preferenza per un candidato è, per il cittadino che va al voto, anche un modo per esprimere un giudizio sull’operato di quanti hanno già seduto in Parlamento. E la cui rielezione, quindi, non dipende solo dall’essere un fedelissimo del leader di partito, ma dallo stile che ne ha contraddistinto l’esercizio.
È evidente che un ritorno alle preferenze non sarebbe la panacea di tutti i mali della politica attuale, né un antidoto sicuro alla disaffezione della gente nei confronti della politica e del diritto-dovere del voto. Tuttavia, restituire agli elettori la pienezza della effettività della scelta dei propri rappresentanti va nel senso della restituzione ai cittadini, da una parte, del loro protagonismo e della loro titolarità ad esprimersi circa la formazione del Parlamento, dall’altra, un preciso richiamo a ciascuno all’alta responsabilità che comporta questo esercizio della democrazia.
Stefania Re
Giuseppe Saglia
Maurizio Vescovi
Circolo Culturale «Nuove Luci»
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