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Intervista

Lunardi: «Centrali nucleari sottoterra in totale sicurezza Ecco come fare»

Lunardi: «Centrali nucleari sottoterra in totale sicurezza Ecco come fare»

di Claudio Rinaldi

23 Marzo 2022, 21:27

Correva l’anno 1986, trentasei anni fa. La tragedia di Chernobyl aveva spaventato il mondo. In Italia stavano per diventare operativi i Laboratori nazionali del Gran Sasso, progettati da Pietro Lunardi su richiesta di Antonio Zichichi, all’epoca presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare. Sono considerati, ancora oggi, i centri di ricerca sotterranei più grandi e più importanti del mondo. In un’intervista, Lunardi disse chiaro e tondo quale sarebbe stata la strada da percorrere: realizzare centrali elettronucleari sottoterra. «I rischi di una catastrofe dovuta a fuoruscite di materiale radioattivo saranno pressocché nulli e anche il problema delle scorie potrà essere risolto nel migliore dei modi». Tutto ciò mentre le strade d’Europa erano invase da oppositori del nucleare. Ma non era una provocazione: erano le osservazioni di un tecnico da sempre specializzato nella realizzazione di tunnel e gallerie: fondatore della Rocksoil Spa, Lunardi ha gestito la progettazione di opere in sotterraneo per metropolitane (Singapore, Grecia, Francia, Arabia Saudita, Brasile e Danimarca; in Italia Milano, Roma, Genova, Napoli) e grandi trafori (Gran Sasso e Frejus), per l’Alta velocità Bologna-Firenze.
Proprio l’esperienza del Gran Sasso – una progettazione che sembrava fantascientifica, con i laboratori coperti da 1.400 metri di roccia – aveva insegnato tante cose, sul fronte delle costruzioni sotterranee. Per esempio (sempre citando l’intervista del 1986), «la particolare natura delle rocce garantisce la quasi completa gestione della radioattività, impedendo fughe. Il discorso, allora, può essere esattamente invertito: se la roccia protegge dalle radiazioni, ne impedisce anche la fuoriuscita». Ecco perché «si potrebbe perfino pensare di avere centrali nucleari ecologiche e sicure perfino in città, scavando alla profondità giusta».

La crisi energetica

Trentasei anni, sono passati. Un’era geologica, nel mondo della tecnologia. Ma la situazione è la stessa di allora: non è stato mosso un passo nella direzione auspicata da Lunardi. Intanto, la crisi energetica ci sta soffocando, mette in ginocchio imprese e industrie grandi e piccole (basti pensare a quante sono addirittura costrette a chiudere), strozza commercianti, artigiani, ristoratori e tocca tutti noi, nessuno escluso, nel portafogli. «Colpa delle politiche scellerate attuate finora, di ideologie fasulle e senza senso, del fatto che una minoranza – ambientalisti e grillini – ha sempre tenuto in ostaggio il Paese, demonizzando l’energia nucleare». Non ha dubbi, il professor Pietro Lunardi, che nel frattempo è stato ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti (dal 2001 al 2006) e, come progettista, ha continuato a realizzare opere di straordinaria complessità nel sottosuolo (è stato anche proclamato «Man of the year in construction field» dalla rivista statunitense «Engineering News-Record»).
«Abbiamo perso troppo tempo: i referendum che hanno abolito il nucleare in Italia sono arrivati sull’onda emotiva dei terribili incidenti di Chernobyl e di Fukushima. È evidente che il risultato è stato falsato. Il mondo è andato avanti: oggi ci sono oltre 400 reattori nucleari in attività. Solo la Francia, dalla quale l’Italia acquista molta energia, ha 58 reattori distribuiti su 19 centrali e ha previsto la realizzazione di altre quattro centrali. E con l’energia nucleare riesce a coprire almeno il 30 per cento del fabbisogno nazionale. Noi siamo in ginocchio, e se non ci diamo una mossa andrà sempre peggio. La crisi energetica impone di ripensare – senza indugi – all’energia nucleare. Se partissimo oggi, entro dieci anni saremmo praticamente autonomi, anche integrando anche con altre fonti tradizionali. Se si costruissero dieci centrali da tre gigawatt, fra dieci anni si potrebbe arrivare a circa la metà del fabbisogno nazionale, che è di 60 gigawatt. Attenzione, però: se si continuerà a spingere sulle auto elettriche, il fabbisogno potrebbe anche raddoppiare».

Gli equivoci sulla fusione

Recentemente, Draghi e Cingolani hanno affermato che il futuro dell’energia è rappresentato dal gas e dal nucleare, ma riferendosi a quello di futura generazione, cioè quello della fusione nucleare. «Ma non hanno detto – osserva Lunardi – che le centrali a fusione nucleare potrebbero vedere la luce forse tra cinquant’anni, come confermato dal premio Nobel Carlo Rubbia. La strada da seguire oggi è un’altra: la realizzazione di impianti sotterranei, più sicuri e meno costosi». «È incredibile come persone di questa levatura, per motivi politici, non abbiano il coraggio di dire la verità. La verità è che oggi ci sono più di 400 reattori in attività, che se le centrali fossero state costruite nel sottosuolo, ad almeno due/trecento metri di profondità, gli incidenti di Chernobyl e Fukushima non avrebbero provocato alcun danno alla comunità e che se l’Italia potesse ripartire con le centrali a fissione nucleare avrebbe la possibilità di produrre energia elettrica sicura e pulita».

Energie alternative

A chi contesta il ritorno al nucleare esortando a puntare sulle energie alternative, Lunardi replica seccamente: «Al di là del fatto che sono uno scempio ambientale e paesaggistico, non rappresentano una soluzione, perché sono energie discontinue. Non ci si può affidare solo all’eolico e al solare: uno funziona solo se c’è vento, l’altro solo di giorno. E non ci vengano a raccontare che l’energia si può immagazzinare: è vero che si può, ma ha dei costi esorbitanti, talmente alti da non poter neanche prendere in considerazione l’eventualità. So bene che è di moda parlare di fonti alternative, sull’onda della transizione ecologica auspicata da profeti e tuttologi sparsi su tutto il pianeta: la popolarità di Greta Thunberg insegna. Ma non dobbiamo farci incantare da falsi profeti, venerati da chi nel mondo dell’eolico e dei pannelli solari ha interessi economici: dobbiamo guardare alla realtà. E fare in fretta».

Scienziati “in campo”

Illustrissimi scienziati e premi Nobel hanno sposato la causa delle centrali sotterranee: il russo Andrei Sakharov nel 1990 («La soluzione che prediligo è quella di costruire i reattori nucleari in sotterraneo»), l’americano Edward Teller nel 2001 («Il mio suggerimento è di collocare i reattori nucleari da 100 a 300 metri di profondità») e, con grande insistenza, il Nobel Carlo Rubbia nel 2015, intervistato da «Sette» del «Corriere della Sera»: «L’alternativa è praticabile e probabilmente fattibile eliminando tanti problemi. Con impianti del genere non esiste il pericolo di fuga di sostanze radioattive come è accaduto a Chernobyl e Fukushima».
«Dal laboratorio sotto il Gran Sasso a oggi abbiamo imparato tante cose – spiega Lunardi – che permettono di realizzare opere di grandi dimensioni nel sottosuolo, scegliendo le rocce più adeguate, con maggiore facilità e a costi più bassi».

Centrali in sotterraneo

I problemi della fissione nucleare sono due: la sicurezza e le scorie. È evidente che una centrale debba essere protetta da possibili attacchi bellici, così come da fenomeni naturali come il terremoto o lo tsunami. «Se realizzate sottoterra, a due/trecento metri di profondità, il problema non si pone – spiega Lunardi –. In passato, l’ipotesi non è mai stata presa in considerazione perché i costi sarebbero stati molto superiori rispetto a quelli di una centrale in superficie: ma oggi, con le nuove tecnologie di scavo, è esattamente il contrario». Qualche conto indicativo: una centrale nucleare in superficie può costare tra i 9 e gli 11 miliardi: la spesa per la sicurezza incide almeno per il 30/40 per cento e si azzererebbe nel caso di centrale sotterranea.
Lunardi cita alcuni dei vantaggi offerti dalla collocazione in sotterraneo rispetto a quella in superficie: «Quanto alla sicurezza, sono annullati i rischi di danni in caso di eventi sismici, per la ridotta sismicità del sottosuolo, di attacchi terroristici, missilistici o di impatto aereo, ma anche i danni in caso di fusione del nocciolo. Per l’ambiente, il vantaggio è dato dall’impatto ridotto a zero e dal minore consumo di suolo. Quanto alla spesa, l’impianto sotterraneo, comprendendo anche lo smantellamento dopo 60 anni di vita e lo stoccaggio delle scorie in profondità, verrebbe a costare almeno il 50 per cento in meno».
Ci sono quattro ragioni per le quali i costi sarebbero abbattuti: «Le moderne tecnologie di scavo permettono grandi risparmi; sottoterra tutti i problemi di sicurezza vengono eliminati; lo smantellamento dopo sessant’anni di vita non sarebbe un costo; lo stoccaggio delle scorie in cavità a due/trecento metri di profondità azzererebbe qualsiasi pericolo».

Lo smaltimento delle scorie

Il tema dello smaltimento è particolarmente attuale in Italia. La Sogin, incaricata dello smantellamento delle centrali nucleari italiane – Latina, Sessa Aurunca (Caserta), Trino Vercellese e Caorso, entrate in funzione tra il 1962 e il ’77 e dismesse tra il 1987 e il ’90) – e dell’individuazione di un sito per il deposito nazionale di scorie nucleari, ha previsto di trovare lungo lo Stivale 67 siti potenzialmente idonei a ospitare in superficie le scorie a bassa e media attività (quelle ad alta attività, le più pericolose, non possono essere lasciate in superficie): ma, come era prevedibile, nessun sindaco si è fatto avanti per avanzare la candidatura del proprio Comune. «Sarebbe un grave errore e, al tempo stesso, uno spreco di soldi pubblici – taglia corto Lunardi –. Uso il condizionale, perché ritengo impossibile che si possano trovare risposte a questo tipo di soluzione. Basterebbe invece scegliere di realizzare un unico deposito sotterraneo, in una delle quattro centrali esistenti e dismesse, per smaltire le scorie di tutte le centrali italiane, spendendo molto meno e senza lasciare questa pesantissima eredità alle future generazioni. Un deposito nel sottosuolo è già stato realizzato a Onkalo, in Finlandia».
«La stima della Sogin prevede un costo di circa un miliardo – prosegue – mentre la spesa per un deposito sotterraneo sarebbe la metà: e permetterebbe di stoccare anche le scorie ad alta attività, che negli anni scorsi abbiamo chiesto a Francia e Inghilterra di ospitare nei loro depositi. Se non troveremo una soluzione per quelle scorie ad alta attività, dovremo pagare ogni anno una penale di decine e decine di migliaia di euro: una cifra tale da poter costruire un unico deposito geologico nazionale con il risparmio di un anno di penali. Non so se mi spiego».
«Realizzare un deposito sotterraneo in una delle centrali esistenti – conclude Lunardi – offrirebbe vari vantaggi: tra gli altri, si consumerebbe una quantità di suolo ridottissima – si parla di pochi ettari rispetto ai 110 richiesti dal deposito di superficie – e non si scatenerebbe la protesta della popolazione coinvolta».

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