L’equazione che associa la geologia ai terremoti è una conquista scientifica relativamente recente. Grazie alle prospezioni geofisiche, rese disponibili dall’esplorazione petrolifera a partire dal secondo dopoguerra, è possibile avere una «radiografia» del sottosuolo e visualizzare i rapporti fra le varie formazioni geologiche che nell’insieme formano la struttura appenninica. Con l’acquisizione di queste conoscenze è stato possibile censire le faglie sismogenetiche cieche in Pianura Padana, che possono cioè essere sorgente di terremoti. Anche se gli strati rocciosi sono mascherati dalla pianura, la Catena montuosa prosegue nel sottosuolo. Un processo attivo da migliaia di anni, collegato al processo di edificazione della Catena appenninica, ancora attivo alla velocità di 1-3 metri per millennio. Gli elementi geologici di superficie presenti nell’Appennino Settentrionale indicano un processo deformativo ancora in atto, con dislocazioni del terreno riconducibili a un periodo compreso fra 18.000 e 23.000 anni fa. Una dinamica che genera fronti di accavallamento tettonico, sorgenti di terremoti e sciami sismici, come quello in corso nella nostra provincia. Al contrario alle linee di fratturazione presenti nella zona montuosa della nostra provincia, le faglie padane, non tagliano la superficie ma si fermano in profondità, e sono note come faglie cieche. La lunga storia dell’edificazione dell’Appennino si origina circa 20 milioni di anni fa ed è ancora in corso, come testimoniano gli eventi sismici che periodicamente scuotono il nostro territorio. È il risultato di una complessa dinamica crostale come conseguenza del movimento delle placche litosferiche. La montagna parmense rappresenta una sorta di raccordo fra due tendenze tettoniche, quella Adriatica, di natura compressiva, e quella Tirrenica, di carattere distensivo. Una dinamica che genera particolari linee sismiche, dove si concentrano con maggiore frequenza i terremoti. La linea sismica del Taro, studiata da una quarantina d'anni dai geologi dell’Università di Parma, rappresenta un corridoio preferenziale per il trasferimento di energia fra i due insiemi. La coesistenza di queste due tendenze tettoniche, compressiva e distensiva è interpretata dai geologi come risposta alla zona di subduzione attiva, ossia lo scorrimento di una placca sotto un’altra, e precisamente la placca litosferica Adriatica con quella Appenninica. Sull’attuale contesto geodinamico dell’Appennino, tuttavia, il dibattito fra i geologi rimane aperto.
Valentino Straser
Ricercatore del Geoplasma Research Institute, Colorado (Usa)
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